Dossier bandiere verdi e nere

Da un po’ di anni a questa parte Legambiente sta cercando di capire se e quanto le Alpi possano tornare diventare strategiche a partire da un nuovo possibile ruolo all’interno dell’economia post-industriale che si va delineando nel nostro continente. Nel passato remoto le Alpi sono state un aggregato di comunità transfrontaliere con forti identità ed economie certo essenziali e statiche, ma solide. Un destino che è mutato negli ultimi decenni, tanto da renderle luogo del confine e della separazione, unicamente esposte all’invasione di modelli sociali ed economici estranei. Le crisi ambientale, sociale ed economica esplose intorno ai grandi agglomerati urbani (e nell’intero pianeta), pur nella loro brutalità, paradossalmente  potrebbero indurre un ritorno ad un protagonismo della montagna rispetto agli equilibri ecologici e sociali dell’intero territorio. Esaurito  il ciclo del fordismo, le regioni del Nord Italia, come del resto l’intera nazione, si stanno necessariamente confrontando con nuove forme di sviluppo dove  è urgente un diverso modello di produrre, abitare e vivere. Qualcuno, non a caso, sostiene che proprio in questo contesto è possibile intercettare un nuovo ciclo dove le smart city possano intrecciarsi e sostenersi vicendevolmente con le smart mountain. In effetti l’introduzione di tecnologie e sistemi di governo intelligenti offrirebbe ampie opportunità su tutti i fronti.

Se questa è la via da percorrere ecco che allora appaiono fuori tempo e fuori luogo tutti quei progetti che non hanno ancora incorporato il concetto di limite di sfruttamento per risorse naturali come acqua, suolo e biodiversità, tanto da rischiare di condannare sé stessi e il territorio  al suicidio nel giro di poco tempo.

Con questo spirito Legambiente continua a redigere, ormai da 14 anni, il dossier della Carovana delle Alpi, che come sempre viene confezionato selezionando e verificando i casi segnalati da decine di circoli di Legambiente presenti nell’arco alpino italiano. A fianco delle buone pratiche che, nonostante la crisi economica, faticosamente stanno emergendo un po’ ovunque, tuttavia sono ancora frequenti i progetti obsoleti e impattanti e per questo oggetto delle nostre bandiere nere. Al solito evidenziano scelte di sviluppo locale quasi unicamente orientate alla  monocultura dello sci e comunque impattanti su ambienti montani delicati e unici. I risultati sono noti: consistenti consumi di suolo, acqua, cementificazione, scarso rispetto paesaggistico e aumento del rischio idrogeologico, oltre che violazione di territori vergini e delicatissimi con la pratica del’eliski.

Queste attività, del resto, rappresentano un mercato maturo, che richiede semmai di qualificare i servizi a supporto dei vasti domaines skiables esistenti, di saper rispondere alla domanda crescente di pratiche sportive “skipass-free” (ciaspole, sci alpinismo, passeggiate sulla neve) e di non compromettere la possibilità di sviluppo di un’offerta diversificata adatta a tutte le stagioni.

La green economy, unica via di uscita dalla crisi secondo molti esperti,  può trovare un terreno di crescita estremamente favorevole nel tessuto socioeconomico alpino. Sempre più significativo è il numero di piccolissime, piccole e medie imprese, spesso supportate da virtuose amministrazioni locali,  in grado di introiettare la sfida ambientale come fattore competitivo e di coniugarla con i temi della responsabilità sociale d’impresa e della centralità della persona. Riteniamo indispensabile il sostegno e il riconoscimento di quelle attività che vedono il protagonismo dei montanari e delle comunità locali. Essenziale è la presenza di giovani, gruppi di azione locale. Anche l’arrivo di nuovi e vecchi migranti alla rovescia (dalla pianura alla montagna), laddove accade, rafforza la capacità d’azione sociale dei singoli e della collettività. È in questa prospettiva che Legambiente sceglie di premiare con le bandiere verdi attività e progetti che sappiano riguadagnare terreno a migliori pratiche agricole, ai bisogni di qualità alimentare, alle tipicità territoriali, alla diversificazione produttiva anche immateriale, al risparmio energetico, ad un turismo responsabile e sostenibile, per la difesa del suolo ed un più equilibrato utilizzo delle risorse idriche.

Su una dimensione più ampia crediamo che una buona governance alpina potrebbe favorire una messa in rete delle buone pratiche, tanto da arrivare a produrre una sorta di patto tra simili, un accordo che dia forza a questa visione.

L’ambizione è verso una virtuosa macroregione alpina capace di produrre  politiche di sistema, ovvero “spazi politici di coesione”, legami tra territori che hanno affinità geomorfologiche e culturali a prescindere da perimetri amministrativi, diversità istituzionali, diversità statutarie e forme di autonomie. Non va in tal senso il pessimo esempio fornitoci dal mondo politico, in specifico dei partiti che si sono prodigati per lo smembramento del Parco dello Stevio. Infatti alle segreterie dei partiti PD (Partito Democratico) e SVP (Südtiroler Volkspartei) va la bandiera nera più pesante della Carovana 2014. Come abbiamo scritto nel testo della bandiera scegliamo così di mettere all’indice il cinico calcolo politico di due partiti, con grandi responsabilità nella guida rispettivamente della Provincia Autonoma e del Paese, che, l’uno per scelta deliberata, l’altro per colposo disinteresse alla conservazione della natura, hanno coscientemente scelto di affossare il più grande Parco Nazionale delle Alpi e di far così deperire con esso la prospettiva di sviluppo sostenibile per questo spazio montuoso sovraregionale.

Alla redazione del dossier insieme ai circoli, hanno collaborato i comitati regionali di Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino, Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia.

Friuli-Venezia Giulia

Bandiera Nera

a: Presidente della società “Carnia Welcome”

Motivazioni: per le assurde affermazioni a favore delle manifestazioni motoristiche in alta quota Se, camminando lungo uno dei tanti sentieri di montagna, ci imbattessimo improvvisamente in un individuo che, senza apparente motivo, incomincia ad inveire contro di noi e a trattarci in modo minaccioso, sostenendo che lui può andare dove vuole, ci allontaneremmo probabilmente subito, temendo di esserci imbattuti in qualche “folle” e rinunceremmo certo a frequentare per un po’ di tempo quella zona, con buona pace degli operatori turistici. Ma se, nella medesima situazione, lo stesso atteggiamento nei nostri confronti venisse tenuto da un individuo in sella ad una rombante moto da cross o da enduro, curiosamente, saremmo capaci di trovare qualcuno pronto a giustificarlo o, addirittura, a dargli ragione. Per alcune persone, infatti, il fatto stesso di aver acquistato una moto adatta ad effettuare percorsi fuoristrada autorizza poi a percorrerli praticamente ovunque. Ragionando in questo modo è facile immaginare dove si possa arrivare e, soprattutto, quale rispetto si possa avere per le regole e per il semplice “buon senso”. Dopo l’approvazione da parte del Consiglio Regionale della Lombardia di una legge che dà la possibilità ai Comuni di autorizzare lo svolgimento di manifestazioni che prevedano l’uso di mezzi a motore su sentieri, mulattiere e boschi, la preoccupazione per il diffondersi dell’utilizzo di moto da trial, moto da enduro, quad e, nel periodo invernale, motoslitte, sui percorsi fuoristrada e di montagna, già forte in tutto l’arco alpino, è andata ulteriormente crescendo. Ne sappiamo qualcosa in Friuli Venezia Giulia, dove, nonostante le proteste e la “bandiera nera” assegnata nel 2012 alla Motocavalcata delle Alpi Carniche, non solo continua la riproposizione di manifestazioni motoristiche in aree normalmente interdette al transito di veicoli a motore, ma gli organizzatori si spingono a richiedere l’autorizzazione al passaggio in aree sempre più delicate (come il SIC del Monte Coglians) e a quote più elevate, pretendendo di raggiungere con i loro motoveicoli anche i cocuzzoli di cime al di sopra dei 2000 metri. Come è facile immaginare, a rimetterci non ci sono solo l’ambiente (flora e fauna in primis) ma gli stessi escursionisti (che rischiano di venire investiti o si trovano i sentieri ridotti in pessime condizioni) e l’immagine stessa del territorio. Basta del resto visionare i filmati presenti sul web, realizzati dagli stessi partecipanti alle “motocavalcate”, per farsi un’idea del loro impatto. Scorrettezze  come queste sono affrancate anche perchè c’è chi non esita a dichiararsi apertamente a favore di tali attività, scrivendo lettere di sostegno indirizzate agli enti incaricati di valutare l’opportunità o meno del rilascio dell’autorizzazione. È il caso di Massimo Peresson, presidente di “Carnia Welcome”, una società consortile a responsabilità limitata che opera come agenzia di viaggi, utilizzando sostanzialmente denaro pubblico. Peresson, nella sua lettera di appoggio all’edizione 2014 della Motocavalcata, ha così dichiarato: “Non vogliamo dimenticare l’ambiente, a noi da sempre caro, che si crede venga danneggiato dalla manifestazione ma che in realtà ci guadagna in termini di cura e manutenzione”. Vorremmo replicare a questo “operatore turistico” semplicemente ricordando un concetto che dovrebbe essere chiaro a tutti. Il turista che frequenta le nostre montagne lo fa perché cerca qualcosa di diverso da quello che trova in città: natura, paesaggi, tranquillità, silenzio. Consentire di portare in alta montagna tutto quello che di negativo offre la città (rumore, inquinamento, frenesia)

Veneto

Bandiera Nera

a: C.T.P.A.C. (Commissione Tecnica Provinciale per Attività di Cava) Verona.

Motivazione: per aver espresso tre pareri favorevoli ad altrettante richieste di ampliamento di attività estrattive in sotterraneo in aree ad elevato rischio ambientale, già fortemente compromesse per fenomeni di collasso del suolo e da frane attive. Aree del resto già soggette ad indagini da parte della Procura della Repubblica di Verona per accertamenti.

La Regione Veneto a distanza di trentadue anni dall’emanazione della Legge Regionale sulla coltivazione delle attività estrattive è ancora priva del Piano Cave, indispensabile strumento per una corretta gestione delle attività di cava nonché per rendere efficace la stessa legge regionale. Tra i moltissimi effetti conseguenti al vuoto regolamentativo si pone in evidenza l’assenza di un sistema di controllo e di vigilanza efficace per escludere abusi e/o discrezionali modelli di gestione di estrazione che possano provocare danni all’ambiente e alle popolazioni loro malgrado coinvolte in prossimità delle aree estrattive. È il caso che si è presentata in un’area collinare in sponda destra del Progno di Valpantena, nel comunale di Grezzana in provincia di Verona dove insistono quattro aree di cava di pietra in sotterraneo, coltivate secondo il sistema a camere e pilastri abbandonati, interessate negli ultimi anni da imponenti fenomeni di collasso (sink holes), in pratica scavernamenti verticali profondi alcune decine di metri,  e da dissesto ambientale. L’instabilità e lo squilibrio ambientale sono evidenziati dal franamento con collasso di un tratto della Strada Provinciale n°12, dal franamento incipiente della Strada Comunale Senge, dallo sprofondamento della superficie terrestre in due ampi scavernamenti di forma cilindrica del diametro di circa 20-40 metri con pareti verticali alte circa 40-60 metri, dalla subsidenza diffusa del piano campagna con la conseguente fessurazione di alcune abitazioni e dal grave danneggiamento di un fabbricato rurale per allevamento avicolo, fino a renderlo inagibile.

Nel 2012 la Provincia di Verona ha dato incarico al prof. Nicola Casagli dell’Università degli studi di Firenze, di redigere una prima perizia nella quale, tra moltissime interessanti considerazioni, si legge che “…la frana superficiale del 12 ottobre 2011 è da mettere in relazione, oltre ogni ragionevole dubbio, con i crolli verificatisi in sotterraneo nei giorni precedenti …”, e che “… i crolli all’interno delle cave e il franamento superficiale della strada provinciale sono da considerarsi eventi contestuali e con una chiara relazione di causa effetti…”. Nelle conclusioni il Prof. Casagli, analizzando i possibili scenari futuri, affermava che il “… collasso di nuovi pilastri per superamento della loro resistenza a compressione ed allargamento dell’area di crollo secondo un effetto domino’; le deformazioni attese in superficie sono in questo caso rilevanti, fino alla possibile formazione di nuove voragini (o allargamento di quelle esistenti).” Ciònonstante nella seduta della CTPAC, convocata il 7 luglio 2014, i commissari con diciassette voti favorevoli e un solo voto contrario (il rappresentante delle associazioni ambientaliste) autorizzava tre ampliamenti per altrettante attività estrattive in sotterraneo nella medesima località, trascurando colpevolmente quanto indicato dal rappresentante delle associazioni ambientaliste, il quale faceva presente il grave dissesto ambientale sopra descritto, nonché la presenza d’indagini da parte della Procura della Repubblica a seguito del deposito di due esposti e di una richiesta di sequestro preventivo dell’intera area per l’agghiacciante pericolo incombente sui residenti e le loro abitazioni, predetto dal Prof. Nicola

Trentino

Bandiera Nera

a: Comunità di Valle delle Giudicarie

Motivazione: per i contenuti relativi alle aree sciabili approvati con l’Accordo quadro di programma del Piano Territoriale di Comunità (votato il 20 gennaio 2014) e i relativi Criteri ed indirizzi, atti che fanno seguito al precedentemente approvato Documento Preliminare

Come segnalato nella scorsa edizione del dossier di Carovana delle Alpi – che le aveva già assegnato una prima bandiera nera – la Comunità delle Giudicarie intende realizzare un pesante sacrificio di territorio, di paesaggio e di naturalità, ipotizzando consistenti e impattanti ampliamenti delle aree sciabili in zone di grande pregio ambientale e paesaggistico fra la val Rendena e la val di Sole. In particolare, la zona di Serodoli e la val Nambino.
Non bastasse, lo studio socio-economico affidato dalla Comunità a una società di consulenza (Agenda 21 Consulting), e il successivo “approfondimento”, ipotizzano ora ulteriori ampliamenti della ski-area che aggraverebbero il danno paesaggistico e ambientale.
Le associazioni ambientaliste, i comitati locali sorti spontaneamente e la SAT (l’importane Società degli Alpinisti tridentini, che conta ben 26000 soci), si sono nettamente espressi contro queste ipotesi di ampliamento, segnalando il danno irreversibile che si produrrebbe in ambienti di altissimo valore paesaggistico, che andrebbero invece valorizzati con un’offerta turistica di tutt’altro genere. Anche il Parco naturale Adamello Brenta ha espresso pareri fortemente critici. Due petizioni hanno raccolto in pochi mesi migliaia di firme.
La val Rendena è famosa nel mondo per i suo paesaggio maestoso, per le Dolomiti che l’Unesco ha riconosciuto “Patrimonio dell’Umanità”, emblema di una natura meravigliosa. Tutti gli studi indicano che il mercato turistico dello sci è maturo, e che le prospettive di crescita devono essere cercate nella destagionalizzazione e nella diversificazione dell’offerta turistica – incluso il turismo culturale e naturalistico – per dare un futuro sostenibile alle nuove generazioni residenti nelle Alpi.

Trentino – Alto Adige/Südtirol – Lombardia

Bandiera Nera

a: Segreterie dei partiti PD (Partito Democratico) e SVP (Südtiroler Volkspartei)

Motivazione: Per la proposta da parte del SVP e la condiscendenza del PD a un processo di scissione e declassamento del più grande Parco Nazionale delle Alpi L’agonia del Parco Nazionale dello Stelvio, il più grande parco nazionale delle Alpi e uno dei più antichi (nel 2015 avrebbe compiuto 80 anni) ha molte cause: di sicuro il Parco nacque sotto pessimi auspici, giacché l’aspirazione di alpinisti ed estimatori delle vette del massiccio Ortles-Cevedale si sposò con una volontà dell’allora regime fascista di ‘normalizzare’ l’identità etnica della popolazione di lingua tedesca del Tirolo del sud, annesso all’Italia al termine della prima guerra mondiale: il parco, cerniera montuosa tra Valtellina e Tirolo ed affidato alla Azienda di Stato delle Foreste Demaniali (che lo ha gestito centralisticamente fino al 1995), si prestava bene a questo progetto. Questo precedente merita di essere citato poiché fornisce una base storica e razionale alla diffidenza radicata verso l’istituzione parco, specie nelle valli tedesche (Ultental e Vinschgau): di sicuro nell’Italia post-bellica non sono stati compiuti sforzi adeguati a superare questa diffidenza e non è mai stato creato un vero spazio di cooperazione tra i tre settori del Parco Nazionale (i cui 131000 ettari ricadono per il 45% in Lombardia, per il 41% in Alto Adige e per il 14% in Trentino): può sembrare incredibile ma tutt’oggi, in piena era digitale, i crinali che dividono il parco restano un insuperabile ostacolo al dialogo e alla cooperazione necessaria affinché un grande progetto territoriale possa radicarsi nelle comunità e nelle istituzioni locali chiamate ad animarlo. Non che non siano mancati i tentativi di superare questo stato di fatto: sul versante istituzionale, dopo l’approvazione della legge quadro 394/91, per il parco dello Stelvio si attuò una gestione consortile, che nel 1995 sostituì alla centralistica ASFD tre comitati di gestione afferenti a un ente unitario in cui sedevano rappresentanti delle tre regioni oltre ai designati del Ministero. Non ci si può nascondere i limiti di tale governance affetta da elefantiasi, dovendo dotarsi, complessivamente, di ben 54 amministratori nominati! Sul ve

versante della società civile, tra le poche iniziative degne di nota segnaliamo i ‘Colloqui dello Stelvio’, promossi da Legambiente con il Dachverband für Natur- und Umweltschutz/ CIPRA Südtirol, svoltisi in tre edizioni tra il 1998 e il 2004.

La gestione consortile è risultata, già alla fine del primo decennio, scarsamente efficace: la mai risolta questione del passaggio del personale ASFD al nuovo ente, il ruolo burocratico del Ministero vigilante, il totale disinteresse al parco da parte di Regione Lombardia, reso particolarmente insopportabile dalle ‘incursioni’ e dai veri e propri ricatti per imporre all’ente le scelte devastanti dei Mondiali di Sci del 2005 (le cui ferite al Parco hanno giovato, a carico dell’Italia, l’apertura di procedure di infrazione comunitaria a seguito degli esposti presentati da Legambiente e WWF), le gravi ‘amputazioni’ di importanti porzioni di parco nel versante altoatesino (modifiche di confine con esclusione di ambienti forestali e fluviali prossimi al fondovalle dell’Adige), l’incapacità di produrre il fondamentale piano del parco (che, dopo una elaborazione decennale, si è arenato nei cassetti dal Ministero dell’Ambiente, da cui presumibilmente non verrà mai riesumato) sono passaggi per nulla edificanti di un conclamato insuccesso dell’ente consortile, nonostante il forte investimento professionale profuso da figure che vi hanno ricoperto ruoli tecnici e dirigenziali.

Macchinosità, distanza degli Enti centrali e della Lombardia, rivendicazioni territoriali miranti all’esclusione di ulteriori settori di area protetta, volontà di modificare la gestione della fauna selvatica con forti aperture e promesse al mondo venatorio, sono stati tutti fattori che hanno portato la forza di maggioranza relativa al governo dell’Alto Adige/Südtirol, ovvero la SVP, e l’allora capo del partito, Luis Durnwalder, all’espressione di una esplicita insofferenza per il carattere unitario e centralistico del Parco Nazionale. Al vistoso deficit di cooperazione per la gestione, la risposta della politica dell’Alto Adige fu quella di concepire una transizione rapida dall’istituto del parco nazionale a uno spezzatino di aree protette a gestione provinciale, ovviamente accettando implicitamente il ‘downgrading’ del parco nazionale ad una categoria inferiore di tutela (operazione teoricamente impedita dal protocollo sulla Conservazione della Natura della Convenzione delle Alpi, che l’Italia ha ratificato nel 1999). La politica provinciale sottovalutò la condizione di asimmetria istituzionale tra Provincie Autonome e Lombardia, regione a statuto ordinario ma pur sempre attore concorrente alle decisioni sul parco, e procedette attraverso le decisioni di un organismo paritetico governo-province autonome da cui, ovviamente, la Lombardia era esclusa. Fu per questa ragione che il primo tentativo di ottenere il parco-spezzatino, operato attraverso un accordo informale tra SVP e allora Governo Berlusconi IV (in sostanza, la SVP assicurò al governo il voto di astensione alla fiducia, risultando determinante per mantenere clamorosamente in vita la maggioranza parlamentare nel 2010), fu vanificato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che non firmò il decreto legislativo che avrebbe dovuto sancire la tripartizione del parco. Nel frattempo però nessuno sforzo veniva condotto, dai Ministri dell’Ambiente succedutisi, per trovare una soluzione diversa e coerente con la legge 394/91, per affrontare la criticità della governance del Parco Nazionale, di cui nel frattempo erano decaduti, per non essere mai più ricostituiti, tutti gli organismi di amministrazione centrale e periferica (dal 2011). Di più, nessuno, da Roma o da Milano, sentiva l’esigenza di confrontarsi con l’ente parco, il suo personale e le uniche figure di governo rimaste, ovvero il presidente (in regime di prorogatio) e il direttore.

L’attacco al parco si riproponeva, in un mutato assetto politico, nel 2013, durante il governo Letta. Di nuovo, la SVP si rendeva disponibile a puntellare attraverso i propri parlamentari una maggioranza alquanto volatile, dettando condizioni alla principale forza di governo, il PD, affinché recepisse i desiderata di Bolzano tra cui, immutata, la richiesta di smembramento del parco. Esito di questa trattativa fu l’inserimento del comma 515 nella legge di stabilità 2014, che prevede la devoluzione di funzioni statali alle Provincie Autonome in materia di Parco dello Stelvio, da perfezionarsi con decreto entro sei mesi. Il termine fissato dalla legge di stabilità è da poco scaduto, ma la bozza di decreto è stata predisposta dal comitato paritetico Stato-Province Autonome e sottoposto alle necessarie istruttorie ministeriali, sebbene nel frattempo sia cambiato il capo del Governo, e l’esecutivo a guida di Matteo Renzi disponga al momento di una maggioranza sufficientemente cospicua da non essere facilmente condizionabile da pattuglie parlamentari. Il problematico ruolo della Lombardia, nuovamente esclusa dai tavoli decisionali non pare essere stato risolto, e perciò non è risolta la ragione di fondo della riserva espressa a suo tempo dalla mancata firma del decreto da parte del Presidente della Repubblica, tuttavia è ormai chiaro che la linea espressa dal Governo è quella del rispetto degli impegni a suo tempo condivisi tra PD e SVP.

Come si comprenderà dalla sintetica descrizione fin qui fornita, le responsabilità di quanto accaduto ricadono su una pluralità di attori: le istituzioni locali, soprattutto lombarde e altoatesine, che non hanno mai colto né sviluppato le potenzialità del Parco Nazionale e che, se possibile, hanno remato contro perseguendo diversi obiettivi di sviluppo principalmente centrati sul turismo di massa legato allo sport invernale e, in Valtellina, sulla speculazione delle seconde case; la Lombardia, cronicamente disinteressata al proprio Parco Nazionale (e, in generale, alla propria montagna); la politica trentina, incapace di esprimere una visione dell’autonomia differente e più aperta rispetto alla chiusura del vicino sudtirolese; il Ministero dell’Ambiente, rinserrato nel ruolo burocratico di autorità vigilante, che non ha mai svolto una funzione propulsiva capace di rilanciare il Parco secondo i principi della legge quadro. Scegliamo però di mettere all’indice il cinico calcolo politico di due partiti, con grandi responsabilità nella guida rispettivamente della Provincia Autonoma e del Paese, che, l’uno per scelta deliberata, l’altro per colposo disinteresse alla conservazione della natura, hanno coscientemente scelto di affossare il più grande Parco Nazionale delle Alpi e di far così deperire con esso la prospettiva di sviluppo sostenibile per questo spazio montuoso sovraregionale.

Lombardia

Bandiera Nera

a: Provincia di Lecco

Motivazione: per aver previsto, anche nella recente revisione del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia, il potenziamento del demanio sciabile di Moggio-Artavaggio e di quello Bobbio-Valtorta attraverso il loro collegamento tramite tunnel.

Mentre la Regione Lombardia cerca timidamente di individuare un modello di sviluppo sostenibile della montagna che tenti di mettere in uso le seconde case non utilizzate e di non costruirne di nuove, evitando la predazione del territorio con consumo di suolo prezioso (vedi PTRA Valli Alpine, Piano Territoriale Regionale d’Area “Valli Alpine: Orobie Bergamasche e Altopiano Valsassina”), la Provincia di Lecco persevera nel puntare sul settore sciistico distogliendo l’attenzione e gli investimenti da altre attività come le produzioni lattiero casearie e il turismo ad esse collegato.

La Provincia di Lecco ha infatti sottoscritto nel 2012 con Regione, Provincia di Bergamo, Comunità Montana Valle Brembana, Comunità Montana Valsassina e Valvarrone, Val d’Esino e Riviera, e i Comuni in Provincia di Bergamo (Carona, Foppolo, Mezzoldo, Piazzatorre, Roncobello, Valleve, Valtorta) e in Provincia di Lecco (Barzio, Cassina Valsassina, Cremeno, Moggio), con l’adesione di Brembo Super Ski e ITB SpA, il progetto integrato strategico per l’ammodernamento, potenziamento e valorizzazione dei comprensori sciistici della valle Brembana e Valsassina. E il 9 giugno 2014 ha definitivamente approvato la variante di Revisione del PTCP che ridefinisce i confini del polo sciistico valsassinese, il quale, nel futuro, potrà estendersi collegando il demanio sciabile di Moggio – Artavaggio con quello di Bobbio – Valtorta”.

Nella fabbrica della neve si perpetua l’illusione di contribuire al miglioramento della qualità della vita delle popolazioni valsassinesi attraverso il potenziamento del polo sciistico Artavaggio-Bobbio con la previsione di un progetto di tunnel che colleghi le due località. Un progetto invasivo in un ambiente sensibile, che non fa i conti con i cambiamenti climatici e l’innalzamento della quota della neve e si àncora ad un concetto vecchio di turismo invernale. 

Lombardia

Bandiera Nera

a: Amministrazione del Comune di Schilpario

Motivazione: Per non avere attuato in maniera efficace la regolamentazione dell’utilizzo di motoslitte, in spregio a qualsiasi regola di buon senso capace di preservare il turismo dolce e di qualità

Da alcuni anni il territorio montano di Schilpario, paese della Comunità Montana di Scalve caratterizzato dalla splendida Conca dei Campelli e sovrastato dal Cimon della Bagozza, è stato classificato da molti escursionisti come un luogo “inadeguato” a passeggiate ed escursioni nel periodo invernale e primaverile. Ciò non è dovuto tanto a problemi legati al territorio, che rimane splendido, ma ad una intensa e non regolata frequentazione dei versanti montani da parte di “sportivi” che utilizzano potenti motoslitte, ignorando il buon senso e in spregio alla sicurezza di chi hanno intorno. Numerose infatti le segnalazioni della presenza di questi veicoli a motore all’interno del Parco delle Orobie bergamasche, anche a pochi metri dalla vetta del monte Campioncino e Campione che risalgono i versanti tagliando i pendii e costituendo un potenziale pericolo di valanghe non solo per se stessi, ma anche per tutti gli escursionisti in zona. Questo comportamento, su cui l’amministrazione ha chiuso colpevolmente non uno, ma entrambi gli occhi, va anche contro il regolamento del Parco delle Orobie bergamasche che nel febbraio 2014 con la circolare 269, ricordava a tutti i comuni presenti nel parco il divieto di circolazione di motoslitte entro i confini della ZPS “Parco Regionale Orobie bergamasche” e entro gli Ambiti di elevata naturalità in cui la circolazione fuoristrada è disciplinata da specifiche norme regionali. Richiamando inoltre lo specifico divieto contenuto nella DGR n.8/9275 che “ha individuato tra le attività vietate nelle ZPS (tipologia degli ambienti alpini) l’utilizzo di motoslitte e battipista al di fuori delle strade, fatti salvi l’utilizzo per ragioni di servizio nelle aree sciabili e in rapporto all’attività dei rifugi, limitatamente al trasporto dei clienti e all’approvvigionamento delle derrate alimentari e dei materiali d’uso corrente”.

La bandiera nera va dunque all’amministrazione del comune di Schilpario che, ad oggi, non ha fatto nulla per limitare gli eccessi di questa pratica. Non vuole essere una condanna definitiva, ma solo uno stimolo a considerare le sensibilità del territorio Pensiamo sia giunto il tempo per scegliere tra il divertimento di pochi, magari facoltosi estimatori della motoslitta estrema o, piuttosto, la presenza costante, se adeguatamente stimolata, di un buon numero di escursionisti che possono realmente portare delle entrate alle attività della valle. Noi ovviamente sosteniamo la seconda opzione.

Piemonte

Bandiera Nera

a: comune di Exilles

Motivazioni: per la perseveranza con cui opera nell’intento di trasformare il piano regolatore,  adibendo a zona edificabile un terreno instabile e soggetto a forte rischio di alluvioni senza prendere in considerazioni le gravi conseguenze derivanti dal consumo di suolo

Il comune di Exillessi trova al centro della Valle di Susa ed il suo territorio confina con la Val Chisone (a Sud) e con la Francia (a Nord). Il capoluogo è situato a quota m. 870 ed è composto da quattro frazioni abitate tutto l’anno: Deveys, Cels, Chanbons e San Colombano. La giunta comunale, eletta nel 2009 e riconfermata quest’anno ha avviato le procedure per la modifica del piano regolatore con l’intento di modificare la destinazione in aree edificabili di due zone della frazione Cels: le stesse che furono tra le  più colpite dall’evento alluvionale del 2000 quando  vennero ricoperte di fango ed acqua in seguito all’esondazione del rio Echalette.

A seguito di questo evento drammatico, vennero eseguite delle relazioni geologiche dal comune nelle quali venne riportato che la parte solida franata si arrestò sulla strada provinciale ostruendo il letto del rio ma, non venne in alcun modo menzionato che, la parte liquida esondata, mista alla frazione limosa – argillosa, si riversò sulla sede stradale e, seguendo la naturale pendenza andò a riversarsi nei prati pianeggianti che corrispondono alle aree da destinare a costruzione. Le conseguenze che tale evento (secondo i Tecnici Regionali inevitabilmente ripetibile) potrebbe avere nel caso in cui fossero presenti delle abitazioni, sono facilmente immaginabili. La portata solida e liquida del rio, riportata nella relazione idraulica, ed i  recenti movimenti franosi segnalati ripetutamente dai media locali e nazionali e dagli organi preposti (ARPA e settore Prevenzione Territoriale del Rischio Idrogeologico della Regione Piemonte), sono la prova del rischio sempre più grave che minaccia quelle zone.

Nel giugno del 2013, la stessa Regione Piemonte ha chiesto al comune di rivedere la programmazione urbanistica e gli studi di pericolosità geomorfologica.
La zona in oggetto inoltre, possiede una valenza molto importante sotto il profilo paesaggistico ed ambientale: le borgate Rif, Morliere e Ruinas circondate dai prati, boschi ed orti, sono infatti rinomate per le loro caratteristiche storiche e culturali. L’intervento che l’Amministrazione sta portando avanti potrebbe intaccare in modo permanente le caratteristiche di quel territorio che, fino agli anni ’80 era considerato zona paludosa per la presenza di numerose risorgive e che ancora oggi  ospita alcune specie vegetali tipiche degli ambienti umidi. Le esternalità derivanti dal consumo di suolo, porterebbero quindi gravosi danni all’ecosistema ed all’assetto socio culturale attraverso l’impoverimento di un paesaggio inteso come percezione umana ed identità culturale.
Le ripetute segnalazioni da parte delle associazioni ambientaliste, degli esperti del settore e della Regione Piemonte non sono state prese in considerazione dal Comune che persevera nell’intento di distruggere e contaminare un ambiente naturale che non può sostenere l’impatto di un intervento umano di così vasta portata e che deturperebbe la geomorfologia di quel territorio.

Valle d’Aosta

Bandiera Nera

a: Amministrazione comunale di Valtournenche (Ao)

Motivazione: per lo studio di fattibilità per nuovi collegamenti sciistici (tra la Valtournenche e la Val d’Ayas), che, se realizzati distruggerebbero l’ultimo lembo non compromesso del versante sud del Monte Rosa, ma che ha lo scopo reale di rilanciare cementificazione e speculazione edilizia.

Nel gennaio di quest’anno, il comune di Valtournenche, appoggiandosi su fondi del progetto Interreg Alpinks, finanziato dall’Unione Europea, bandisce come capofila uno studio di  fattibilità per la realizzazione di un collegamento sciistico con la Val d’Ayas attraverso il Vallone delle Cime Bianche. In sostanza il “sogno”, annunciato con toni roboanti dalla stampa locale, è quello di unire Champoluc (Val d’Ayas) e Cervinia(Valtournenche) connettendosi in tal modo con le altre due stazioni sciistiche ai piedi del Monte Rosa già collegate tra loro (Gressoney-La Trinité e la svizzera Zermatt), per creare un comprensorio sciistico di circa 530 km. Ancora una volta la montagna viene interpretata come territorio modificabile dall’uomo a suo piacimento, e fondi europei, cioè pubblici, vengono usati per mettere a bando l’ennesimo studio di fattibilità di opere costose e disastrose per l’ambiente alpino.

Gli appetiti speculativi ritornano prepotentemente alla carica riproponendo “il miraggio” del collegamento sciistico fra la Valtournenche e la Val d’Ayas, un progetto insensato da ogni punto di vista:

– l’area interessata (vallone delle Cime Bianche) è inserita nel SIC/ZPS IT1204220 “Ambienti glaciali del gruppo del Monte Rosa” e rappresenta l’ultimo vasto spazio senza impianti di accesso al versante sud Monte Rosa; territorio che (a causa di zone di scarso acclivio e/o versanti sottoposti a valanga) poco si presta allo sci di discesa.

– il progetto risulta in contrasto con il protocollo attuativo della Convenzione delle Alpi sul Turismo (legge 50/2012), in cui al primo capoverso dell’art.6 viene specificato che “le Parti contraenti tengono conto, per lo sviluppo turistico, delle esigenze di protezione della natura e di salvaguardia del paesaggio. Si impegnano a promuovere, nella misura del possibile, solamente progetti che rispettino i paesaggi e siano compatibili con l’ambiente” è l’area racchiude proprio una preziosa ricchezza di varietà geologiche, paesaggistiche, floristiche e faunistiche nonché di testimonianze storico/culturali che richiederebbe ben altri progetti di valorizzazione e non ipotesi di collegamenti trasportistici di una lunghezza tale da richiedere investimenti e impatti ambientali del tutto insostenibili.

D’altro canto il bando pubblicato dal Comune di Valtournenche nei termini in cui è scritto lascia ad intendere come il vero interesse sia in realtà quello di apportare varianti alla pianificazione per offrire opportunità di investimento ai privati”. E’ pur vero che a pensar male si fa peccato, ma vien facile dubitare che questo non voglia essere altro che l’ennesima possibilità di ampliare le aree edificabili previste nel Piano Regolatore Generale per soddisfare  nuovi appetiti speculativi. C’è da auspicare che nella regione autonoma Valle d’Aosta con la Programmazione 2014-2020, finisca l’era dei progetti europei i cui unici risultati sono studi, pubblicazioni e siti web, ma invece sia dato spazio ai cittadini e operatori economici al fine di poter tornare a riflettere e discutere sullo sviluppo di quest’area, perché la crescita di un Paese, a nostro parere, dovrebbe andare in altre direzioni che nulla hanno a che vedere con le speculazioni edilizie volte alla cementificazione del territorio. I SIC, PTP, Piani regionali e Leggi dello Stato non possono essere solo considerati noiosi ostacoli da superare

Friuli-Venezia Giulia

Bandiera Verde

a: APE, Secab e Comuni della Valle del But

Motivazioni: per aver avviato un piano di azione orientato all’autosufficienza energetica Sulla valle del But – l’affluente del Tagliamento che nasce poco sotto il Passo di Monte Croce Carnico, vicino al confine con l’Austria – pende tuttora la grave minaccia della realizzazione di un elettrodotto aereo transfrontaliero. La popolazione e le Amministrazioni locali hanno già fatto capire cosa pensino riguardo a questo devastante progetto, scendendo in piazza assieme agli amici carinziani nel corso di due imponenti manifestazioni, tenutesi nel novembre del 2010 a Paluzza e nel gennaio del 2011 a Tolmezzo. Alla lotta per la tutela del paesaggio e per l’integrità del proprio territorio si aggiunge ora una nuova iniziativa, che prende spunto dalla presenza in zona di una società elettrica cooperativa che ha appena compiuto 103 anni di vita e che opera nel campo delle fonti rinnovabili, in particolare l’idroelettrico, fornendo energia a basso costo a sei Comuni della valle. Le Amministrazioni di Paluzza, Treppo Carnico, Ligosullo, Sutrio, Cercivento, Ravascletto, Comeglians, ArtaTerme, Zuglio e Paularo, con il contributo appunto della SECAB, della Regione e grazie alla collaborazione di APE (Agenzia per l’Energia del Friuli Venezia Giulia) hanno da poco avviato un processo di Agenda 21 locale, finalizzato alla definizione e allo sviluppo di un piano d’azione orientato all’autosufficienza energetica. L’indipendenza rispetto all’importazione di energia – l’autosufficienza energetica – è molto più di un termine, significa infatti convertire un territorio in nome della sostenibilità. Per questo l’efficienza energetica, l’uso razionale delle risorse di cui dispone il territorio montano, la produzione e la generazione diffusa di energia rappresentano la sua realizzazione pratica. Gli obiettivi del pacchetto clima‐energia da limitanti possono così trasformarsi in una opportunità di riqualificazione e crescita economica per il territorio. L’iniziativa, particolarmente significativa in un’area destinata, nelle intenzioni di alcuni, a diventare un luogo di transito dell’energia, disseminato di enormi tralicci, è partita da alcuni mesi e ha portato alla presentazione del bilancio energetico e dell’inventario delle emissioni di CO2 dell’area di progetto. Dall’analisi è emerso che, se l’utilizzo dell’idroelettrico è già ampiamente sfruttato, ci sono notevoli margini di miglioramento per quanto riguarda le biomasse e soprattutto l’efficienza e il risparmio energetico. I prossimi obiettivi saranno la definizione delle priorità di intervento e degli obiettivi strategici e specifici e la redazione partecipata del documento energetico intercomunale con la condivisione delle proposte progettuali. Toccherà quindi alle amministrazioni locali e ai cittadini fare in modo che questo non sia solo uno dei tanti studi dedicati alla montagna ma si traduca in un piano concreto che consentirà di andare oltre le singole iniziative progettuali per prendere in considerazione uno sviluppo condiviso d

del territorio in tutti gli aspetti connessi con un utilizzo sostenibile dell’energia.

Friuli-Venezia Giulia

Bandiera Verde

a: Damiano Nonis di Mountain Wilderness e ai suoi amici

Motivazioni: per la complessa e spettacolare pulizia dell’Alta Valle dell’Arzino

Quella che si è appena svolta il 6 e il 19 luglio scorsi tra S. Francesco e Sella Chianzutan, nel territorio dei Comuni di Vito d’Asio e Verzegnis, non è stata una normale “giornata ecologica” di raccolta dei rifiuti abbandonati, come se ne fanno tante. Per la difficoltà dell’intervento, l’impegno richiesto e il risultato raggiunto (oltre una sessantina di metri cubi di materiali ingombranti e r.s.u. recuperati) si tratta probabilmente di una delle più significative operazioni di bonifica mai realizzate tra le nostre montagne. Damiano, che vive a Cordovado e da poco è diventato il referente per l’associazione Mountain Wilderness in Friuli-Venezia Giulia, da appassionato della natura e dello sport aveva iniziato molti anni fa a percorrere la valle dell’Arzino in bicicletta. Com’è noto questo tipo di contatto con il territorio permette una visione più diretta e completa della realtà e consente di notare, nel bene e nel male, quello che sfugge agli occhi dei distratti automobilisti o di chi si diverte a sfrecciare in sella ad una potente motocicletta affrontando il tortuoso percorso. Damiano si era così accorto di una notevole quantità di rifiuti scaricati da irresponsabili sul greto di alcuni rii, in corrispondenza dei punti in cui la strada li superava. Ha così cominciato a pensare a come si poteva “liberare” dai rifiuti quest’angolo meraviglioso di natura, a cavallo tra le province di Pordenone e di Udine. Poco alla volta, un progetto che poteva apparire un po’ folle, si è andato delineando e finalmente si è trasformato in realtà grazie al coinvolgimento di una quarantina tra ambientalisti e giovani dell’associazione Econoise di Tolmezzo. Damiano, con i suoi amici, per certi versi, ci ha fatto venire alla mente la pulizia del K2, che un gruppo internazionale di alpinisti avviò nel 1990 al campo base e lungo la via normale di salita alla vetta himalaiana. Infatti per raggiungere il letto di alcuni rii, affluenti di sinistra dell’Arzino, dove in tempi non recenti era stato scaricato di tutto (soprattutto vecchi elettrodomestici e materiale ingombrante), è stato necessario attrezzare un ripido pendio con una scaletta metallica e con corde fisse, mentre altre corde e forza di braccia sono state impiegate per sollevare dal basso i rifiuti fino sui ponti della strada provinciale. Davvero un’iniziativa lodevole e un segno di amore per uno dei più bei corsi d’acqua della nostra regione. La gente di montagna, pensando alla “rapina” delle acque e alle politiche che hanno favorito l’emigrazione tradendo gli ideali della Resistenza combattuta 70 anni fa proprio in queste zone, è abituata a pensare di essere in credito con la città e la pianura. Bene, Damiano, uomo di pianura innamorato della montagna, con questa iniziativa il suo debito lo ha già ampiamente saldato.

Liguria

Bandiera Verde

a: Comune di Mendatica

Motivazioni: attivazione di buone pratiche sul proprio comune e sul territorio del parco regionale

Nel 2007 il comune montano di Mendatica è stato uno dei sette comuni fondatori del Parco Regionale Naturale delle Alpi Liguri inserendo nel parco un SIC (Sito di Interesse Naturalistico) ed una ZPS (Zone Speciali di Conservazione). Un costante lavoro di recupero culturale, ambientale e sociale in sinergia con la popolazione, le istituzioni, le proloco e l’Ente Parco hanno rivitalizzato un luogo antropizzato ma da decenni a forte rischio di abbandono. Mendatica è di fatto un piccolo borgo di 203 abitanti e si trova sulle pendici del monte Fronté e domina l’alta valle Arroscia. Nella zona vi è un patrimonio culturale ingente composto da santuari e chiese e luoghi da visitare dal punto di vista naturalistico come il Santuario della Madonna dei Colombi, gli affreschi di Pietro Guido da Ranzo (XV-XVI secolo) che decorano le pareti del Santuario di Rezzo, della Chiesa di Santa Margherita e le cascate dell’Arroscia. Lungo le pendici delle Alpi Marittime, la secolare transumanza agricola e pastorale, ha unito le popolazioni della montagna ligure, del cuneese e delle valli occitane; si è sviluppata così una singolare gastronomia etnica, detta appunto “bianca” perché fatta di farinacei, latticini, di ortaggi poco colorati come le patate, i porri, l’aglio, le rape o di prodotti spontanei raccolti camminando sui sentieri della transumanza. Una cucina povera di colori ma ricca di sapori che derivano da prodotti sani, prodotti spontanei, raccolti camminando sui sentieri della transumanza che hanno dato origine ad una particolare gastronomia, lontana dalla tradizionale cucina mediterranea, e le cui ricette sono state tramandate per secoli.

Il riconoscimento di Legambiente va alla amministrazione che si è impegnata nella cura dell’ambiente e nel rispetto del territorio in un ottica di valorizzazione del passato nel rispetto dei luoghi. Fra gli interventi più significativi:

  1. aver sostenuto la tradizione pastorale della “Transumanza” facendo della usanza anche un’ occasione di turismo sostenibile
  2. aver contribuito alla riscoperta della “Cucina Bianca”
  3. aver recuperato dei terrazzamenti per la attuale coltivazione del grano e del granoturco
  4. aver restaurato un antico mulino ad acqua attualmente funzionale (didattico)
  5. aver attivato due centraline idroelettriche
  6. promuovere l’attività turistica del territorio attraverso percorsi culturali, storici ed antropologici

    

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